San Francesco ha fatto la grazia
STORIA DI UN QUADRO, DI UNA FAMIGLIA E DI UNA CITTA’.
Abbiamo seguito con molto interesse e curiosità sui social la storia, che vi evidenziamo qui sul nostro Blog, una bella ed interessante pagina di vita di un tempo che fu di una famiglia collegata intimamente alla città . Una storia scritta da un nostro caro amico emigrante, che partendo da Taranto, la città spartana, si è fatto strada, molta strada nel mondo. Un grande personaggio, un grande illustratore e disegnatore di fumetti che si é affermato con le più famose case editrici del mondo in questo campo. Questo nostro amico si chiama Salvatore “Sal” Velluto e vive negli Stati Uniti, nella città di West Jordan, nello stato dello Utah.
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Un racconto di Salvatore Velluto
“A casa di mio nonno Cataldo, in via Leonida, c’era un quadro che faceva paura. Era appeso al muro nella stanzetta da notte di fortuna dove dormivano le mie tre sorelle da ragazzine, cominciando dai primi anni ‘40 fino al 1957.
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Proprio per il fatto di essere in una camera da letto, l’uomo barbuto rappresentato nel quadro assumeva sembianze ancora più sconcertanti nel buio della notte, mettendo alla prova il coraggio delle piccole Annita, Maria Rosaria e Fernanda.
Il dipinto aveva fatto parte della nostra famiglia fin dal 1913 quando un’anziana pittrice, alla fine della sua carriera e dei suoi anni lo realizzò, su commissione di mio nonno e intercessione di un’ altro mio antenato che era allora membro di una confraternita di forestieri residenti nella mia città natale di Taranto.
Il soggetto del dipinto è di carattere mistico e fá riferimento ad un fenomeno prodigioso diventato poi leggenda.
Il quadro in questione, di cui vi svelerò giornalmente l’incredibile storia in brevi puntate, (n.d.r. Sul social Facebook) é ancora in possesso della mia famiglia, ma non per molto, ed é al momento fisicamente lontano da Taranto, ma non per molto.
Impacchettato secondo i più alti standard di sicurezza, percorrerà in questi giorni (n.rd.r. siamo agli inizi di gennaio 2025) circa 750 Kilometri diretto a Taranto, scendendo giù dall’Autostrada Adriatica A14 ed arriverà nel centro storico (che più storico non si può) del capoluogo jonico, accolto a casa di un altro Cataldo, di molto più antica memoria.
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il racconto di Salvatore continua...
Le note strappalacrime di “Torna, ‘sta casa aspetta a te” cantate dal grande Giacomo Rondinella sembravano eccheggiare nell’aria quando il furgone dello spedizioniere lasciò la casa di mio nipote Daniel dalla quale aveva prelevato “il quadro che faceva paura”, imballato alla perfezione e pronto ad affrontare i 750 Kilometri tra Bologna e Taranto. Questa non è storia ma cronaca, in quanto l’evento, che vi sto raccontando è accaduto proprio oggi, 17 gennaio 2025, alle ore 16:10.
L’effige rappresentata nel quadro era stata dipinta a Taranto nel lontano 1913 ed aveva fatto sentire la sua presenza minacciosa, a casa di mio nonno Cataldo, per ben 67 anni. Dopo la scomparsa del nonno, il quadro venne affidato a mia sorella Annita, che sin da bambina ne era stata terrorizzata. Quando la famiglia di mia sorella si trasferì da Taranto a Rovigo e Bologna, il quadro la seguì come un perenne testimone di dove e quando la storia della nostra famiglia era cominciata. A tutt’oggi, questo misterioso quadro e’ stato con noi e fra di noi per un totale di 112 anni.
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Mentre il furgone dello spedizioniere viaggia, percorrendo l’Autostrada Adriatica A14 accompagnatemi in un viaggio a ritroso nel tempo e lasciate che vi presenti un altro mio antenato, un certo Angelo De Giovanni, fratello di mia nonna Annunziata, futura sposa di nonno Cataldo.
Il dipinto fa riferimento al Miracolo della “Salvietta” (erroneamente promossa ad asciugamano) La Salvietta miracolosa é venerata a Benincasa-Vietri sul Mare (SA) nella Chiesa di S. Maria delle Grazie e San Francesco di Paola.
Questo capitolo della nostra storia, che vi narrerò nella prossima puntata, ha luogo negli anni in cui la popolazione di Taranto passò in poco tempo da 14,000 a 70,000 abitanti uscendo dai confini secolari dell’isola e cominciò a costruire il Borgo Umbertino. Era da poco stato inaugurato il primo Ponte Girevole, e si sarebbe a breve costruita la prima linea tranviaria. Tutto questo grazie alla costruzione di uno stabilimento, o meglio, “un’istituzione” che ancora oggi definisce l’identità tarantina.
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Andamento demografico storico dei censimenti della popolazione di Taranto dal 1861 al 2021. Variazioni percentuali della popolazione, grafici e statistiche su dati ISTAT.
Il comune ha avuto in passato delle variazioni territoriali. I dati storici sono stati elaborati per renderli omogenei e confrontabili con la popolazione residente nei nuovi confini.
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In questa atmosfera frenetica, di grandi promesse e grandi sfide, Angelo, Annunziata e Cataldo diventano i protagonisti e gli artefici della nascita del quadro e del suo ingresso nella nostra famiglia.
Angelo De Giovanni, classe 1867, era il settimo dei tredici figli di Pellegrino De Giovanni e Margherita Musco.
Era nativo di Benevento, come tutti i suoi familiari, inclusa sua sorella minore Annunziata, che diventerà la mia nonna materna. La famiglia De Giovanni “emigrò” a Taranto alla ricerca della Terra Promessa. Per loro Taranto era l’America a portata di mano, perchè si trovava a soli 300 Km di distanza.
In quegli anni, insieme a loro, arrivarono così tanti migranti, dalla Campania e altre regioni vicine, da far passare la popolazione di Taranto da 14.000 a 70.000 abitanti.
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Immagino il giovane Angelo avviarsi a piedi al lavoro, di mattina presto, tutto imbacuccato, con una coppola in testa e con in bocca quel mezzo sigaro spento che si era messo in tasca la sera prima.
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Tra le strade del nascente borgo Umbertino c’e’ già tanta gente, insieme a carri, carretti e carrozze. Il tanfo degli escrementi dei cavalli si mischia al profumo di pane caldo proveniente da “i forni”. La gente per strada grida, canta, si scambia saluti e spesso anche bestemmie. Immagino questa scena come se fosse uscita da “C’era una volta in America”, il film di Sergio Leone, e mi sembra anche di sentire, in sottofondo, la colonna sonora di Ennio Morricone.
Il nostro caro Angelo, (per dirla alla Battisti) come la stragrande parte del traffico, pedonale e non, è diretto verso la stessa meta: una grande ed elegante palazzina bianca dietro un possente cancello di ferro, che puntualmente apre i battenti, alle 7 del mattino, al canto, o meglio, al suono di una sirena.
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L’opera che ha impegnato la somma di 9.300.000 lire (incluso il taglio del canale navigabile per il collegamento del Mar Piccolo col Mar Grande), occupa un’area di oltre 90 ha di cui 70 scoperti, si affaccia sulla sponda meridionale del primo seno del Mar Piccolo delimitata dalla parte della città da un muro di cinta alto 7 m e lungo 3250 m; ha un fronte a mare di circa 3 km da cui si sviluppano 4,5 km di banchine ed è dotata di un grande bacino in muratura denominato Principe di Napoli approntato nel corso dell’anno e di due scali di costruzione.
Per le sue dimensioni e la sua dislocazione l’arsenale influenzò notevolmente lo sviluppo urbanistico della Taranto moderna.
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Ci troviamo cosí davanti alla matrice e la nutrice della rinascita di Taranto, della sua crescita, del suo progresso e del suo futuro: Signori e Signore, ecco a voi… Il Regio Arsenale Militare Marittimo di Taranto, orgoglio della Regia Marina e Mecca del Sud Italia agli inizi del XX secolo.
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Ma,“il quadro che faceva paura” che fine ha fatto?- direte voi. Dopotutto stiamo parlando dell’elemento catalizzatore di tutta questa storia… Ecchecaspita!
Dunque, al momento sembra che il quadro sia ancora in transito per Taranto e che arriverà verso i primi della settimana prossima. Questo ci darà il tempo di completare la nostra storia che, proprio alla fine di questa puntata fornirà un’indizio importante per identificare qual’é il soggetto terrificante del dipinto stesso.
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Una volta entrato dal cancello principale, Angelo prende una bicicletta di servizio e si avvia verso la palazzina dove lavora come operaio. Da quella palazzina si accede all’officina e agli impianti della “Forza e Luce”, la compagnia che sta portando forza motrice ai macchinari dell’Arsenale e illuminazione sia allo stesso stabilimento che alla città.
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Nella Forza e Luce Angelo era considerato “Primo operaio” un titolo che non solo lo categorizzava come specialista ma anche come un pioniere, un apristrada, del futuro di una grande azienda e della città di Taranto.
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La sirena dell’ Arsenale annunciava l’uscita delle maestranze puntualmente alle 16. Molti lavoratori prendevano la via di casa, ma non tutti. Alcuni si fermavano nelle cantine per bere, giocare a “Padrune e sotte” e degustare un piatto di “Sazizze de cavalle ‘a punde de furcine” (Salsiccia di cavallo sulla punta di forchetta). Altri, come il nostro Angelo, si recavano periodicamente presso le sedi delle varie Confraternite presenti ed operanti a Taranto presso le chiese di città e “di campagna”.
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Gli scopi della fratellanza, oltre a quello di culto, erano e sono ancora il mutuo soccorso fra i confratelli ed in caso di morte, la sepoltura nella cappella gentilizia della confraternita per tutti i suoi membri.
Confraternita di Santa Maria di Piedigrotta e dei Santi Gennaro e Catello”
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La confraternita fu fondata il 5 agosto 1895 con decreto dell’arcivescovo di Taranto Pietro Alfonso Jorio nella chiesa di San Francesco di Paola in Taranto.
La fondazione fu voluta da alcuni operai del Regio Arsenale Militare Marittimo di Taranto che erano originari di Napoli e Castellammare di Stabia, per tale motivo il sodalizio fu intitolato alla Madonna di Piedigrotta, San Gennaro (Patroni di Napoli) e San Catello (Patrono di Castellamare di Stabia).
Gli scopi della fratellanza, oltre a quello di culto, erano il mutuo soccorso fra i confratelli ed in caso di morte, la sepoltura nella cappella gentilizia della confraternita per tutti i membri.
Secondo lo statuto del 1895 alla confraternita possono aderire coloro che sono di origine napoletana o stabiese che per vari motivi vivono in Taranto e anche persone che sono di Taranto
La confraternita celebrava con solennità la festa della Madonna di Piedigrotta e dei due santi patroni e partecipava alla processione di San Francesco di Paola.
La confraternita si esaurì subito dopo la Seconda guerra mondiale a causa del periodo del fermo post-bellico dell’arsenale e a causa del ritorno a casa della maggior parte della comunità partenopea di Taranto. Attualmente la confraternita si è trasferita nella chiesa di Sant’Agostino.
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Angelo probabilmente apparteneva alla “Confraternita di Santa Maria di Piedigrotta e dei Santi Gennaro e Catello”.
Perchè proprio questa? Perchè questa particolare fratellanza era formata dagli appartenenti alle maestranze arsenalizie specificamente di origine campana. (Ricordiamo che la famiglia De Giovanni proveniva da Benevento)
La fondazione di questa confraternita fu voluta da alcuni operai del Regio Arsenale Militare Marittimo di Taranto che erano originari di Napoli e Castellammare di Stabia, per tale motivo il sodalizio fu intitolato alla Madonna di Piedigrotta e San Gennaro (Patroni di Napoli) e San Catello (Patrono di Castellamare di Stabia).
E’ interessante notare come questi fenomeni di aggregazione in società di mutuo soccorso, sia laiche che religiose, era consueto e diffuso, in particolar modo tra gli emigranti, in tutte le parti del mondo.
La strada che Angelo percorreva per andare dall’Arsenale in Confraternita, non era molto lunga. In quei 10 minuti di cammino, aveva giusto il tempo di fumarsi quel mezzo sigaro, o magari per ripensarci e rimetterselo in tasca, per il giorno dopo.
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Procedendo diritto dal cancello dell’Arsenale e girando alla seconda traversa a sinistra, Angelo De Giovanni arrivava all’attuale Via Regina Elena, 44 dove la Congrega si riuniva, presso la Chiesa di… San Francesco di Paola.
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Quasi ogni giorno, da casa sua, lui la vedeva mangiare foglie di lattuga, da dietro i vetri della finestra del palazzo di fronte. Lei aveva capelli lunghi e neri che le venivano pettinati da sua sorella, sempre li, dietro la finestra, dove c’era più luce.
A lui piaceva il suo portamento semplice e signorile, oltre al fatto di vederla impegnata sia nelle faccende domestiche che con l’insegnamento nella scuola privata che suo fratello maggiore Giuseppe, detto “U’ professore” dirigeva in casa. La scuola era frequentata da grandi, piccoli e militari che imparavano a leggere, scrivere e a far di conto, tutti requisiti necessari per aspirare ad una buona carriera militare o ad un buon lavoro nel nascente e crescente Arsenale.
Lei era Annunziata “Nunziata” De Giovanni, sorella minore di Angelo. Lui era Cataldo De Leonardis, un ragazzone aitante, con i capelli bruni e gli occhi azzurri, che in quel periodo aveva da poco cominciato i suoi 28 mesi di servizio di leva nella Regia Marina. Loro erano i miei nonni materni.
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La loro storia d’amore, che stiamo per veder sbocciare, fra non molto s’incrocerà con la storia de “il quadro che faceva paura” e si perpetuerà nella storia della mia famiglia.
I bambini che frequentavano la scuola in casa De Giovanni spesso fungevano da messaggeri tra Cataldo e Nunziata che cominciarono a scambiarsi biglietti e sguardi dalle loro finestre, entrambe affacciate su Via Duca di Genova. Quando Cataldo era in trasferta, ai biglietti si aggiunsero lunghe lettere contenenti sogni promesse, progetti e tanto sentimento.
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Che i due fossero innamorati era cosa conosciuta a entrambe le famiglie, anche se la famiglia di mia nonna, tranne forse il fratello Angelo (che abbiamo precedentemente incontrato) non era tanto favorevole a combinare il matrimonio, per motivi che verranno alla luce solo al ritorno di mio nonno dal militare
Congedatosi dal servizio di leva, Cataldo tornò a lavorare ai Cantieri Navali Queiroli, dove era già conosciuto come un bravo Maestro d’ascia. La sua condizione economica era diventata soddisfacente abbastanza da poter chiedere la mano della sua Nunziata.
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Era quindi arrivato il momento che la mamma di Cataldo si recasse a casa De Giovanni per incontrare Giuseppe “U’ Professore” che fungeva da capo famiglia, vista la salute cagionevole di entrambe i genitori.
Con tono educato ma autoritario ”U’ professore” disse che pur soprassedendo sul fatto che Cataldo era di 4 anni più piccolo di Annunziata, non avrebbe potuto concedere la mano di sua sorella fin quando Cataldo non avesse avuto un “posto fisso.” ( Checco Zalone di là da venire…) Il lavoro assicurato a Cataldo dai piccoli Cantieri Queiroli, nonostante fosse un buon lavoro, non era più abbastanza. Per poter combinare questo matrimonio ci voleva un posto migliore, più solido, più prestigioso… Ci voleva un posto all’Arsenale!
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Fu allora che mia nonna, affranta ma speranzosa, fece voto al Santo a cui era da tempo devota, promettendogli che se il suo Cataldo avesse ottenuto il posto in Arsenale, e quindi il consenso al matrimonio, lei avrebbe fatto si che la prima cosa a fare ingresso nella loro nuova casa sarebbe stato un quadro con l’effige di questo suo Santo…
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“Stimato Onorevole Sandro Pertini…” Così cominciavano alcune delle lettere che scrivevo per conto di mio nonno Cataldo, quando, in tarda età, perse il dono della vista. Ero diventato il suo segretario personale, gli leggevo il giornale e mi occupavo della sua corrispondenza volta a difendere la causa dei pensionati che lui definiva “Arance spremute e buttate nella spazzatura”
Cataldo De Leonardis era un Socialista di prima generazione, coetaneo del futuro presidente della Repubblica, che aveva incontrato nei primi anni del dopoguerra. A Taranto, specialmente tra gli arsenalotti c’era una numerosa componente socialista e anti-fascista, anche se alcuni, per convenienza, la tessera del PNF (Partito Nazionale Fascista) ce l’avevano lo stesso. Mio nonno quella tessera non l’aveva e per indicarmene le conseguenze mi fece notare che le pensioni che percepiva erano due, perchè per alcuni anni del periodo fascista, fu sospeso da lavoro. Questo gli creò due diversi periodi di contributi, e quindi due pensioni. Questo lo ricordava nella corrispondenza al compagno Pertini. Questo tornava in mente anche a me, ogni volta che andavo in posta a ritirargli le due pensioni con due deleghe.
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Mia nonna Annunziata era una donna di fede. Non come quelle che a Taranto comunemente chiamano “Bizzoche” (Bigotte) ma come quelle che la fede la vivono quotidianamente in modo pratico, anche perché la sua professione d’insegnante delle persone più umili glene dava ampie opportunità.
Tra Cataldo e Annunziata le apparenti differenze ideologiche non costituivano un problema, anzi finirono per creare diversi punti d’incontro. Uno di questi si verificò quando il fratello di lei, Giuseppe “U’ professore” fece sapere a mio nonno che per avere la mano di sua sorella minore, avrebbe dovuto trovarsi un posto fisso all’Arsenale Marittimo Militare di Taranto.
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Così, come mio nonno si apprestò a fare tutte “le carte” da presentare all’Ufficio preposto, mia nonna si apprestò a fare voto al suo santo protettore. Cosí, se Cataldo avesse ricevuto la grazia di essere assunto in Arsenale, nonostante fosse Socialista, lei avrebbe commissionato come ex-voto un dipinto del santo, che sarebbe stato il primo a fare ingresso nella loro futura casa di novelli sposi. Il santo protettore di mia nonna Annunziata era… San Francesco di Paola
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Quando lei mise al corrente Cataldo di questo suo voto, lui non solo non ebbe nulla in contrario, ma le disse rassicurandola: “Nò tte preoccupà Nunziatì, mò ma vede ije” (Non ti preoccupare Nunziatina, adesso me la vedo io)
Cataldo pensò di parlarne con Angelo, suo futuro cognato (che abbiamo conosciuto nella seconda parte di questa storia). Angelo, a sua volta ne parlò con i Confratelli della Congrega con i quali si riuniva settimanalmente proprio presso la Chiesa di San Francesco di Paola, in via Regina Elena.
Dopo un pò di tempo, da queste indagini e conversazioni, venne fuori un nome: Teresa Basile.
Teresa Basile era un’anziana pittrice, specializzata in immagini sacre. Aveva uno studio in casa, a Taranto Vecchia, dove anche suo marito, il fu Giovanni Esposito, aveva lavorato come pittore e restauratore. Teresa nacque a Tropea (CZ) e fu attiva prima in Calabria e poi nella Diocesi di Taranto per la quale eseguì diversi lavori, a partire dal 1887.
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Mio nonno l’andò a trovare, accompagnato da comuni conoscenti. Nel suo appartamento-studio, al lavoro su opere in fase di realizzazione e di restauro, c’erano anche alcune allieve apprendiste. A quel tempo vedere una donna pittrice non era una cosa consueta; vederla poi con altre artiste donne era cosa ancora più sorprendente. Dietro pagamento di un piccolo anticipo, e con l’accordo di ricevere “un tanto al mese” la pittrice cominciò a lavorare sul dipinto di San Francesco di Paola, riferendosi al famoso miracolo della “Salvietta” da lui operato nel 1484 a Salerno .
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L’attesa del completamento del quadro si aggiungeva all’attesa di una risposta dell’ Arsenale. Il tempo passava e vedeva Cataldo e Annunziata impegnati nei loro rispettivi lavori, con la continua speranza di ricevere, da un giorno all’altro, una risposta alla domanda d’assunzione fatta circa un anno prima..
Teresa Basile completò e consegnò il quadro nel 1913. Nello stesso anno morí Pellegrino De Giovanni, padre di Annunziata.
Nello stesso anno a Cataldo arrivò la tanto attesa lettera.
Immagino l’entusiasmo di Cataldo quando andò a portare la buona notizia alla sua amata.
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“Nunziatì-disse lui, ancora sull’uscio della porta- finalmente, dopo tanto tempo, mi hanno convocato per il posto! Devo andare a fare un’esame e una prova d’arte!”
“Finalmente -disse lei abbracciandolo- Sia gloria a Dio!”
Alcuni studenti della scuola, insieme a Giulia e Cristina, sorelle di lei, si accalcarono attorno a loro.
“E’ arrivata, Nunziatì, finalmente é arrivata!”
Incuriosita e commossa, Annunziata gli chiese: “Cataldì, e quand’é che ti devi presentare all’esame?”
Cataldo, anche lui con le lacrime agli occhi, controllando la lettera, come se già non l’avesse imparata a memoria, lesse “il 2 aprile 1913”
“Il 2 aprile?-gridò lei- CATALDI’…SAN FRANCESCO DI PAOLA HA FATTO IL MIRACOLO!”
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Cataldo e Annunziata erano abbracciati, commossi e giubilanti nell’ingresso della casa-scuola di lei, circondati da diversi allievi e dalle di lei sorelle Giulia e Cristina. Tutti esultavano perche’ Cataldo aveva ricevuto una lettera di convocazione agli esami e prova d’arte, necessari per l’assunzione in Arsenale. Passare quegli esami significava ottenere il ”posto fisso” che gli avrebbe fatto ricevere la mano di Annunziata in matrimonio.
La convocazione in Arsenale era fissata per il 2 aprile 1913.
2 aprile, il giorno in cui la Chiesa festeggia San Francesco di Paola, proprio il Santo a cui Annunziata aveva fatto voto per far trovare il posto al suo Cataldo. Resisi subito conto di questa “coincidenza” tutti gridarono al miracolo, pensando al quadro ex-voto, ancora fresco di pittura, raffigurante il santo. Ben presto, in segno di grazia ricevuta, e per tener fede ad una promessa, quel quadro sarebbe entrato per primo, in forma quasi processionale nella futura casa degli sposi. https://www.vaticano.com/2-aprile-san-francesco-di-paola-un-esempio-di-fede-e-carita/
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L’espressione di fede di Annunziata, dimostrata dal voto fatto al suo santo protettore, aveva anche un’aspetto pratico che si manifestò nella maniera a lei più naturale – essendo un insegnante – e fu quella di aiutare il suo amato Cataldo a prepararsi per l’esame scritto.
Nella scuola privata di casa De Giovanni, tra gli alunni di ogni età, non mancavano adulti che imparavano a leggere, scrivere e far di conto. Questo serviva loro per passare di grado nel militare o per meglio prepararsi a concorsi nell’ambito civile. Cataldo, pur avendo una sufficiente preparazione di base, e una buona esperienza nei cantieri navali, giovò della conoscenza e dei consigli di Annunziata che diventò così anche il suo angelo custode.
Gli esami scritti si svolsero mercoledì 2 aprile 1913, come da calendario, mentre la prova d’arte si tenne la settimana successiva
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Il lavoro in Arsenale pur essendo duro e spesso mal pagato era molto ambito, specie dai tarantini che avevano vissuto fino ad allora in un’economia estremamente depressa. Fino ad allora la maggior parte dei lavoratori assunti provenivano da Arsenali e Cantieri più antichi (Genova, Livorno, Napoli, Castellammare, Ancona e Venezia) e portavano con loro quell’ esperienza nei lavori di cantieristica navale che mancava alla maggior parte delle maestranze locali, fatta eccezione per quei pochi ma buoni, tra cui c’era anche mio nonno Cataldo.
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L’aiuto dela sua “Nunziatina”, la qualifica di Maestro d’ascia acquisita precedentemente ai Cantieri Queiroli, e l’intercessione di San Francesco di Paola, non solo guadagnarono a Cataldo l’ingresso in Arsenale, ma lo fecero rientrare nel primo gruppo di 100 studenti ammessi ai corsi triennali di formazione della scuola Scuola Allievi Operai (SAO) che fu inaugurata quello stesso ottobre del 1913. Tutti gli studenti ammessi ai corsi venivano sottopost all’obbligo di militarizzazione e accettazione di una ferma di quattro anni, nella quale erano inclusi i tre anni della scuola. Al termine della ferma gli allievi acquisivano il diritto di salariati permanenti in Arsenale, in caso di congedamento. Avendo già ottemperato agli obblighi militari (28 mesi in Marina) a mio nonno vennero ridotti i termini di frequenza alla SAO, anche in considerazione del sopravvenuto impegno bellico
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La militarizzazione dei lavoratori si confaceva con la natura stessa dell’Arsenale, che era appuno Militare, e con la situazione bellica nel Mediterraneo che era cominciata con la Guerra di Libia (1911-1912) e che sarebbe sfociata presto nel primo conflitto mondiale.
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In arsenale si costruivano e riparavano navi da guerra “moderne” (presto con l’aiuto dei Cantieri Tosi) nei bacini di carenaggio in muratura (Benedetto Brin e Edgardo Ferrati) e quelli galleggianti. Si costruivano pontoni galleggianti armati, reti ti protezione anti siluranti ; si riparavano e mantenevavo idrovolanti dell’ Aviazione ausiliaria per la Marina, e altri mezzi militari. Oltre a tutto questo le maestranze degli arsenalotti contribuirono a costruire importanti infrastrutture civili come la rete elettrica, la rete tramviaria cittadina ed il completamento dell’Acquedotto Pugliese.
Fu in questo clima frenetico e con questi costanti venti di guerra che i miei nonni si sposarono, alle 5 del mattino del 26 aprile 1914 (a due mesi dall’attentato di Sarajevo) nella Chiesa di San Giovanni di Dio.
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La loro prima casa si trovava proprio di fronte alla chiesa dove si erano uniti in matrimonio. Fu in quell’appatamento che il quadro ex-voto di San Francesco di Paola, come promesso, entrò, come ad aprire una processione, nella loro nuova dimora e nella storia futura della nostra famiglia.
A casa di mio nonno Cataldo c’era il quadro col dipinto di San Francesco di Paola, che faceva paura alle mie sorelle, quand’erano piccole. Oltre a quello c’erano anche altre fotografie incorniciate, grandi e piccole, ognuna delle quali raccontava la propria storia, che poi era la storia della nostra famiglia.
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Una foto era quella di suo padre, Vincenzo De Leonardis, che per tanti anni esercitò la professione d’intermediario di olii, vini, farina e formaggi, in un piccolo ufficio situato a Piazza Fontana, la Wall Street tarantina degli inizi del XX secolo.
Un’altra era quello di suo fratello Giovanni, in divisa da sommergibilista. Questi gli venne in sogno la stessa notte in cui perí, 5 agosto 1915, a bordo del sommergibile “Nereide” affondato nelle acque prospicienti alle isole di Pelagosa (Croazia) dal sommergibile austriaco U-5.
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Un’altro ancora, aveva la foto di gruppo dei laureandi in Medicina e Chirurgia dell’Università di Napoli, per l’anno accademico 1945-46, tra i quali c’é suo figlio Vincenzo, che morirà nel 1948 in un tragico incidente d’auto mentre fungeva da medico condotto del comune di Monteparano (TA)
Le storie del nonno erano tante e affascinanti. Erano tutte raccontate con dovizia di dettagli, la cui importanza a quel tempo mi sfuggiva completamente.
Negli anni della mia adolescenza, il nonno, avendo quasi completamente perso la vista, mi nominò suo segretario, amministratore, scrivano, lettore, nonché erede dei suoi documenti e delle sue storie.
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Lui si sedeva sulla sua sedia sdraio e mi parlava della sua carriera in Arsenale, durante i due conflitti mondiali e oltre. Mi parlava del suo lavoro come capo operaio nei bacini di carenaggio e nel bacino galleggiante e delle missioni di recupero o riparazione di unità della Regia Marina, che lo portarono in Montenegro, Albania, Grecia e persino in Turchia, quando la sua capitale si chiamava ancora Costantinopoli.
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Dal primo momento del suo ingresso in Arsenale, nel 1913, Cataldo si trovò a far parte di una forza lavoro sopraffatta dalle necessità di rafforzare la Regia Flotta e affrontare le sfide della Grande Guerra. L’attivita del Bacino di Raddobbo “Principe di Napoli” (poi “Benedetto Brin”) e del bacino galleggiante GO-9 erano frenetiche e praticamente senza sosta. Dopo l’entrata in guerra, a Taranto si aggiunse, nel 1916, anche l’enorme Bacino in muratura “Edgardo Ferrati”, ma anche con quella preziosa aggiunta riusciva difficile sopperire alle urgenti necessità di costruzione, manutenzione e salvataggio dei vascelli della Regia Marina.
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La situazione peggiorò ulteriormente e drammaticamente la notte del 2 agosto 1916 quando, nel “sicurissimo” Mar Piccolo, la corazzata “Leonardo Da Vinci” di 26 mila tonnellate, con 13 cannoni da 305 mm, prende fuoco, esplode, s’inpenna, si capovolge e affonda con il suo capitano, 21 ufficiali e 220 sottufficiali e marinai. Nonostante le gravissime perdite che seminarono il lutto in tantissime famiglie tarantine, l’evento venne “censurato” per motivi di sicurezza (si pensava allora ad un sabotaggio da parte di agenti austriaci) cosicché anche le esequie dei caduti vennero fatte in forma estremamente riservata.
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Seduto sulla sua comoda “sdraio” nonno Cataldo, in diverse occasioni mi fece partecipe di tutto quello che successe alla “Leonardo Da Vinci” dopo la tragedia, e delle meravigliose imprese ingegneristiche del Genio Civile e Militare italiano che ebbero eco in tutto il mondo. Così come lui raccontava, io immaginavo quelle scene nella mia mente.
Col tempo queste imprese le ho ritrovate in libri, articoli e anche documentari dell’epoca. Ma niente di tutto questo e’ rimasto nella mia memoria più di quello che nonno Cataldo mi disse personalmente e che vidi con gli occhi della fantasia.
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La sua narrazione cominciò parlando del 18 settembre del 1919, quando le squadre di operai da lui dirette, iniziarono a lavorare in vista di rimettere in sesto e raddrizzare ciò che rimaneva della grande corazzata.
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Prominente nel suo racconto figurava l’opera dei palombari, che previamente avevano reso possibile l’alleggerimento della nave di 6000 tonnellate di sovrastrutture, tra cui le eliche e le cinque grandi torri dei cannoni di grosso calibro e 700 tonnellate di munizioni.
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Quando tutte le operazioni di alleggerimento dello scafo furono completate, il 15 settembre 1919, la nave fu distaccata dal fondo mediante l’espulsione dell’acqua per mezzo di aria compressa dagli 8 cilindri stabilizzatori aggiogati ai suoi lati. Questi provvedettero a spingerla in superficie. Lentamente, il relitto riemerse e, agganciato a quattro rimorchiatori, fu spinto per 3 giorni verso il “Ferrati”, attraversando un canale lungo 2 Km, largo 45 metri e profondo 12,5 che era stato dragato nel basso fondale del Mar Piccolo.
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Una volta in secco la nave fu dapprima ispezionata, per provvedere al recupero dei resti dei marinai ancora intrappolati all’interno, quindi furono iniziati li lavori necessari volti al futuro raddrizzamento dello scafo, che era ancora capovolto. Questi lavori ebbero la durata di quattordici mesi, necessari a rendere completamente stagno lo scafo, sistemare in carena 400 tonnellate di zavorra e predisporre i doppi fondi eccentrici che, una volta allagati, avrebbero fornito il momento raddrizzante alla nave.
In questi 14 mesi la figura ed il lavoro del Capo operaio Cataldo De Leonardis e delle sue squadre furono al centro di tutte queste operazioni.
Finalmente, il 22 gennaio 1921 lo scafo capovolto della Leonardo Da Vinci uscì dal bacino e fu rimorchiato all’interno della grande fossa precedentemente approntata in Mar Piccolo. Per tutta la notte tra il 23 e il 24 gennaio fu immessa acqua nei doppi fondi fino ad arrivare alla notevole quantità di 6.750 tonnellate. In quelle condizioni, lo scafo, reso instabile dall’acqua imbarcata, si capovolse raddrizzandosi. Erano le 11:53 del 24 gennaio 1921.
Apparve a quel punto, sul ponte di coperta, in segno di vittoria, la bandiera italiana ed un’enorme scritta, realizzata dagli operai di mio nonno, che riportava un aforisma leonardiano che costituì, se vogliamo, la morale di quella lunga e penosa vicenda. La scritta diceva: «OGNI TORTO SI DIRIZZA»
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Quetta stessa frase fu riportata, su disposizione di mio nonno, sul timone della nave. Nei giorni immediatamente successivi, davanti alla risorta Leonardo Da Vinci, furono scattate a Cataldo De Leonardis ed ad i suoi collaboratori le fotografie che allego.
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Questo non fu l’unico recupero “storico” nella carriera di mio nonno. Purtroppo ce ne furono altri, legati ad altri tragici affondamenti, tra cui quelli avvenuti ne “La notte di Taranto” (11-12 novembre 1940) ma quella e’ un’altra storia, per un’altro momento.
Per adesso e’ sufficiente concludere dicendo che tutto quanto vi ho narrato in questi giorni è cominciato, se vogliamo, da un quadro, un voto di fede ed una promessa d’amore. Questa storia non é soltanto mia, ma è la storia di tante delle nostre famiglie, a Taranto e altrove, che hanno vissuto quegli stessi anni. Da quelle famiglie discendiamo noi.
Ricapitolando
A casa del mio nonno materno, Cataldo De Leonardis, in via Leonida, c’era un quadro che faceva paura. Si trovava nella stanzetta dove dormivano le mie tre sorelle da ragazzine. Loro ne erano terrorizzate e lo chiamavano “U’ Monache”, “U’ Mamone” o “L’Aure”.
l dipinto rappresentava invece tutt’altra cosa. Era simbolo, non di una presenza nefasta ma di una figura benevolente che aveva influenzato la storia della nostra famiglia, per generazioni.
Nel quadro, dipinto dalla pittrice Teresa Basile nel 1913, era raffigurata l’effige di San Francesco di Paola rimasta impressa su di un’ asciugamano, rappresentazione di un suo famoso miracolo.
Al santo di questo dipinto fu anche attribuito il miracolo dell’assunzione di mio nonno in Arsenale ed il suo successivo matrimonio con la sua amata Annunziata.
Il resto, come si dice e’ storia. In questo caso peró la storia non e’ solo quella dei miei antenati materni, ma anche quella della città di Taranto. Queste due storie, insieme alla storia del quadro s’intrecciano strettamente e diventano anche la storia di tante altre famiglie tarantine che gioirono, ma anche piansero, vivendo e morendo, in quei momenti incredibili e anche drammatici, che purtroppo molti hanno dimenticato.
Gli eventi narrati nelle precedenti puntate (ancora disponibili sul mio profilo, per chi non le avesse lette) sono solo una minima parte di quegli eventi che hanno accompagnato la vita del quadro. A me é servito raccontarveli per accompagnare il quadro durante il suo viaggio di ritorno a Taranto, proveniente da Bologna, dove era stato custodito da mio nipote. (Grazie Daniel Del Vecchio )
Impacchettato, secondo i più alti standard di sicurezza, il quadro ha viaggiato, per circa 750 chilometri, nel furgone di uno spedizioniere, scendendo giù per l’Autostrada Adriatica, per arrivare sano e salvo nel centro storico di Taranto.
Lì e’ stato accolto nella “casa” di un’altro Cataldo, molto più famoso di mio nonno. Dopo aver abitato per 112 anni con la mia famiglia, questa è adesso la sua nuova casa. Questa casa è la Chiesa Madre della nostra città, la Basilica Cattedrale di San Cataldo,
A questo punto pero’ la nostra storia non si e’ ancora conclusa, perché stà per aprirsi, davanti a tutti noi, un nuovo capitolo, ancora più interessante.
Questo capitolo verrà presentato, non in forma scritta, ma in formato video, e verrà condiviso con tutti voi, molto presto, su diverse piattaforme social.
Nel video, oltre a ripercorrere i luoghi e gli episodi della storia da me narrata, vi faremo vedere il quadro, la sua nuova casa ed il suo nuovo custode. Poi vi parleremo del suo futuro.
Oltre a questo, vi sveleremo come ho fatto a ricomporre questa mia storia familiare, con dovizia di nomi, date e avvenimenti storici correlati.
La narrazione quindi continua... Grazie Sal. All The Best!!!
CHI E' SAL (Salvatore) VELLUTO
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SALVATORE “SAL” VELLUTO nasce a Taranto (la Città Spartana) nel 1956. Dal 1984 risiede negli USA dove ha lavorato per le grosse case editrici del fumetto (Marvel, DC, Valiant) e diverse case editrici in Italia, Scandinavia ed Australia. Tra i suoi lavori di spicco figurano “The Phantom/ L’Uomo Mascherato” (Kings Features Syndicate) il progenitore dei moderni supereroi; Black Panther (Marvel Comics ) la cui versione cinematografica ha vinto 3 premi Oscar nel 2019 e Moon Knight (Marvel Comics) divenuta una serie streaming di gran successo sulla piattaforma Disney Plus. Sal Velluto e sua moglie Sharon, vivono a West Jordan nello Utah. Hanno quattro figli ed un nipote.